Si è espresso con toni duri il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che accusa di neocolonialismo i big tecnologici di oltreoceano. Afferma infatti che producono ricchezza in italia e la portano altrove. Ma la prima domanda che mi viene spontanea è perché tutta questa ricchezza che produciamo in Italia (e in Europa) non viene protetta con modelli di business competitivi che permettano all’utente di scegliere altro?
Se Google, Facebook o Amazon sono così avanti è perché fanno in maniera eccellente il loro lavoro. La questione relativa alla tassazione avviene secondo principi di libero mercato che gli consente di operare in tal modo. Ma il punto è un’altro, perché Confalonieri ribatte tanto sulla questione relativa ai diritti d’autore. Le dichiarazioni che si discutono qui sono:
I colossi multimediali, gli operatori di internet producono ricchezza in Italia ma la portano altrove e per un particolare tema di tassazione non pagano le tasse: a noi questa sembra una forma di neocolonialismo.
Ma ciò che ha mi stupito di più è stato:
Parlare di webtax era giusto per colpire forme moderne ma non per questo meno odiose di evasione. Qui voglio chiarire che la libertà della rete non è in questione, è un valore anche per noi ma si minaccia seriamente il nostro modello di business, che è basato su due pilastri: il diritto d’autore e le esclusive sui contenuti.
Bisogna ricordare che anche una massiccia percentuale di internauti italiani prende a piene mani contenuti protetti da diritti d’autore esteri come serie tv, film, perfino cartoni animati dal web in lingua originale e sottotitolandoli ne usufruisce in maniera del tutto esclusiva avvalendosi della visione quasi in contemporanea con il paese di appartenenza e abbassandone quindi il valore stesso del prodotto. E’ una realtà di oggi e la soluzione non è certo la webtax che era una tassa così fatta male che si passò a parlare di tassare solo i contenuti pubblicitari.
Quindi, assodato che il diritto d’autore e le esclusive sui contenuti sono un problema per il mondo intero al tempo di internet, che facciamo? Chiudiamo la rete? O applichiamo una tassa che rende il paese schiavo di un sistema malato?
La prima versione di Webtax era il male puro.
Dal male puro del disegno originale vennero apportate modifiche come abolizione dell’obbligo generalizzato di dover acquistare solo da aventi Partita IVA italiana, che ricordo avrebbe generato una specie di muraglia digitale (tipo modello cinese) dato che contrariamente al libero mercato europeo (almeno quello europeo) sarebbe stato impossibile acquistare beni e servizi (digitali?) fuori dall’Italia, praticamente peggio del vecchio sistema doganale, alla faccia della tanto sperata e sognata Europa unita.
Restava però questo obbligo quando si tratta di comprare “spazi pubblicitari online” e “link sponsorizzati visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio online attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili”.
Praticamente, l’avevano rimodulata e rinominata, ma la sostanza restava confusionaria creando un precedente sicuramente discusso e successivamente sanzionato dall’Europa, dal momento che sarebbe bene che ci fosse una normativa Unica per tutti i paesi della comunità. Facendo il punto, lo stesso Ministero dell’Economia aveva dubbi sulla legittimità della norma rispetto alla libertà d’impresa costituzionalmente garantita in Europa.
Il testo di legge si basava su un web in cui ci sono contenuti accessibili dagli italiani e un altro in cui non ci sono contenuti accessibili per questi ultimi, e l’intenzione è di tassare i primi…
In sostanza la Spot Tax o Webtax prevedeva:
Se un imprenditore italiano comprerà spazi pubblicitari dovrà chiedere l’emissione di una fattura con partita Iva italiana solo per i contenuti che saranno effettivamente “cliccati” in Italia. Quando invece i contenuti in questione saranno “cliccati” da un consumatore francese, tedesco o inglese i proventi potranno essere fatturati senza partita Iva (come avviene oggi per tutti gli annunci insomma). Quindi per principio ovvio: se un imprenditore italiano si promuove con pubblicità in altri Paesi europei, il servizio non potrà essere tassato in Italia.
Su chi inciderà realmente la Spot Tax?
Bhé, mentre in principio la tassa era stata pensata nella sua totalità per un recupero crediti ben più ampio, ora con la tassazione delle sole pubblicità si avrà un guadagno marginale, ma mentre si crede che il vero guadagno sarà recuperato dai conti di Big come Google, Amazon e Facebook, e intermediari di servizi pubblicitari simili (che forniscono i loro servizi mantenendo legalmente la tassazione Irlandese, o in Lussemburgo circa all’8%) ora, questi, non faranno altro che applicare la nostra IVA al 22% aumentando il costo dei loro servizi agli italiani, perché piuttosto che pagare loro una tassazione non dovuta, visto il contesto di unità europea, penso che abbandonerebbero il nostro mercato con tutti i danni che ne conseguono, pertanto, semplicemente accetteranno le nostre leggi con una buona scusa per aumentare tutti i prezzi…
Naturalmente, l’IVA con ben sapete è un costo per il consumatore e quindi si apettano tempi durissimi per tutti i settori italiani che vorranno promuoversi sul loro stesso territorio, si pensi alla moda, come al turismo o le auto, o gli stessi rinomati prodotti alimentari.
In quel che dovrebbe essere un sistema globale, ci siamo annidati da soli in un nazionalismo fiscale che porterà un danno probabilmente solo all’Italia stessa considerando che siamo totalmente dipendenti dai servizi digitali esteri.
Qualcosa andava fatta per recuperare soldi dalla pubblicità erogata nel nostro paese dai Big Esteri, ma forse non in questo modo in un periodo già non roseo per l’Italia dato che i conti saranno più salati solo per le imprese italiane, a mio avviso.
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